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Angeli e archetipi
Filippo Conti, Psicologo Psicoterapeuta SIPT, sempre alla ricerca del profondo di sé e del Sé, e delle infinite strade che portano all’autenticità dell’essere, passando attraverso le trame del visibile e dell’invisibile
Nel mio percorso di studi in Psicosintesi, mi veniva spesso detto che tutte le volte che un rapporto tra due persone diventa vero e intimo, quando due anime si toccano, nasce un Angelo. La cura spesso è proprio indicata da quel terzo nato, che, interagendo con il Sé dei due, apre la porta del cuore, estromettendo dal paziente la sua paura. La sofferenza è paura congelata, bloccata, ferma, che aspetta il calore di una scintilla d’amore per sciogliersi e rituffarsi nel mare dell’esistenza, la vera esistenza, quella che ci fa realmente percepire di essere vivi. Da sempre uno dei problemi principali della nostra Psiche è la frammentazione, la divisione in rigidi comparti che non comunicano tra loro, e che quindi gestiscono la nostra vita indipendentemente dalla nostra Volontà. “Noi siamo dominati da tutto ciò in cui il nostro io s’identifica. Possiamo dominare, dirigere ed utilizzare tutto ciò da cui ci disidentifichiamo”, diceva Roberto Assagioli nell’Atto di Volontà (Ubaldini, Roma).
Se le stanze del mio castello interiore non comunicano l’una con l’altra, il mio Io crederà che esista solo la stanza dove si troverà sul momento e non potrà scegliere dove andare; penserà di voler mangiare solo perché si ritroverà in cucina, piuttosto che per la fame; viceversa se il mio Io si troverà al centro, disidentificato dalle varie stanze, sarà consapevole delle stanze presenti, potrà altresì scegliere dove andare, recarsi in cucina se avrà fame, in salotto se vorrà oziare, in camera se vorrà dormire; quindi io in base a ciò che voglio mi recherò nell’una o nell’altra stanza.

Ma che cosa è questa frammentazione? Sarà strano o forse no, pensare che colui che frammenta non è “altro” che il dyaballo (diavolo in greco), che significa appunto colui che separa. È il grande tentatore, colui che ammalia il nostro ego, dandogli una specifica identificazione, facendoci sperimentare spicchi di materia in modo viscerale. Mi identificherò quindi in un aspetto, tralasciando la mia molteplicità, e attorno a quell’aspetto costruirò l’idea di me stesso e la mia vita; sarò quindi il timido, il bullo, lo sfortunato, ma anche l’infallibile, il perfezionista, l’amabile. Sarò cieco e privo di luce, perché come un angelo caduto, mi ritroverò incastrato nella buca di un attore che mi obbligherà ad essere come lui stesso vuole, dimenticando le mie ali e la poderosa forza del volare al di sopra di ogni identificazione. Solo identificandomi però sperimenterò realmente la materia, da cui dovrò essere molto bravo a elevarmi per non rimanerne in primis affascinato e poi schiacciato. Se identificarsi è piuttosto naturale per tutti, e lo possiamo vedere bene pensando all’identificazione come il nome o l’aggettivo, che potremmo mettere accanto all’io sono (buono, bravo, bullo, vittima etc.); la disidentificazione è spogliarsi del nome e dell’aggettivo e tornare all’io sono, puro, la parte che sceglie chi e come essere. Lucifero, portatore di luce, nel suo non chinare la testa a Dio, nel suo voler seguire la legge egoica della sopraffazione, è imploso come farebbe la più luminosa delle stelle, formando quel buco nero dal quale è nata la paura, e tutti i suoi derivati, è nata l’assenza di luce, la depressione, l’avidità e tutto ciò che ci inchioda alla materia, facendoci allontanare dalla sorgente e dallo spirito. Ma come ogni archetipo anch’egli dimora nel nostro inconscio, e si manifesta nella voglia sfrenata di essere visti, di far sì che la nostra luce brilli più di quella degli altri, ma proprio l’imporre la nostra luce ci costringe tutte le volte a ripiombare nel buio. E molti influencer, guru moderni, rappresentano proprio la caduta della luce e l’esaltazione delle tenebre, facendo sì che ciò che è ombra sia considerato forse più luminoso della luce stessa. Ma quello che possiamo anche notare è che tali guru cercano sempre più di separare (ricordate il dyaballo?), anziché unire, utilizzando sempre più nomi, sempre più definizioni, imponendo sempre più leggi o modi di dire e pensare, creando il caos.

Chi è nella luce si serve invece dell’opposto del dyaballo, il symballo (simbolo in greco), che è colui che unisce. Il linguaggio onirico è pieno di simboli, di immagini che nella loro essenza, danno un significato al nostro momento, avvicinandoci alla comprensione del vero e, tramite lo svelamento del significato stesso, al dispiegamento della nebbia del caos. Si torna con il symballo all’essenza, all’origine, si rappresenta con un significante, un tutto che ci rende comprensibile un tratto del nostro essere; il simbolo, così come un archetipo, può altresì essere evocato e, grazie a questa tecnica, possiamo sentirne l’essenza in noi e sperimentare al di fuori di noi la sua forza. Evocare ci porta a risvegliare parti di noi, sedimentate nell’inconscio collettivo, che possono farci riscoprire il nostro potenziale, il nostro spirito, la nostra capacità di essere tutto ciò che possiamo volere e di cui possiamo aver bisogno; come avessimo al nostro interno un magazzino infinito di possibilità che, una volta conosciuto nei dettagli, ci permette di poter essere ciò che vogliamo; il bambino pauroso può evocare l’eroe, così come il timido può evocare l’estroverso…tutte le nostre identificazioni sono un’evocazione di parti del nostro inconscio e io infine non sono realmente il pauroso o il timido, ma ho imparato, per ora, ad accedere a solo quei modi di manifestazione. Entriamo più nello specifico parlando proprio dell’archetipo, “l’immagine primordiale” secondo Jung.
Archetipo deriva dal greco antico, nel significato di “modello primitivo”, quindi è la matrice dei simboli, delle rappresentazioni di ciò che appartiene all’universo. Essendo matrici sono le immagini primordiali, che dimorano nell’inconscio collettivo e quindi sono alla portata di tutti e allo stesso tempo influenzano il cammino di ognuno. L’inconscio collettivo è un termine coniato da Jung, che rappresenta un contenitore psichico universale, che è lo stesso per ognuno di noi. E’ come una grandissima scatola, in cui ognuno è immerso, capace di contenere tutti i simboli, gli archetipi, le memorie storiche, i vissuti globali, tra cui guerre e pestilenze, ma anche i progressi dell’umanità e tutta la struttura psichica globale e i vissuti emotivi. Vi sono archetipi che diventano istinti, legati alla sopravvivenza, altri invece che devono essere evocati, quindi conosciuti, anzi forse meglio dire riconosciuti, per manifestarsi. Le gesta degli eroi, che siano vere o create da poemi senza tempo, diventano traccia e matrice nell’inconscio collettivo da cui viene ricreato uno stampo perfetto dentro ognuno di noi, che possiamo essere oggi Ulisse, alla ricerca del viaggio che ci porterà a trovare realmente chi siamo, così come possiamo sentire in noi il dolore di guerre e pestilenze vissute millenni fa e rivissute e risvegliate nell’era moderna. I fatti storici che si ripetono sono essi stessi matrice, che risvegliano in tutti noi gli antichi vissuti dell’umanità, dall’eroe al disertore, dal paladino della giustizia al carnefice. Tutto ciò vale anche per le Antiche Scritture, portatrici di un sapere sedimentato nell’inconscio collettivo e che silente dimora in ognuno di noi nell’attesa di un suo risveglio.

Così l’eterna lotta tra la luce e l’ombra diventa scelta di schieramento tra forze che seguono due archetipi molto potenti, che diventano divisione e frammentazione. L’ombra è il rifugio per chi china il capo, per chi non si fa domande, per chi rimane figlio dell’uomo e si dimentica chi è, la sua natura divina, si dimentica di manifestarsi, si dimentica di alzare gli occhi verso il sole. La luce è di chi impara a guardarla dentro e fuori di sé; perché la luce circonda tutto ed è in tutto, ma solo se volgi lo sguardo ad essa. Se guardi la luce filtrata dalla paura del mondo, ne vedrai solo il riflesso attraverso l’ombra. Così ognuno di noi è luce, è luminosità, ma se inquini la tua luce con la paura, proietterai nel muro del mondo, unicamente la tua ombra. Nella “lotta” tra luce e tenebra, gli angeli hanno sì la loro missione, come ponte tra l’uomo e Dio, lenti in grado di permettere all’essere umano di poter guardare la Luce senza abbagliarsi; come dice Matteo nel nuovo testamento 18-10: “perché vi dico che gli angeli loro, nei cieli, vedono continuamente la faccia del Padre mio che è nei cieli”. un’erba voglio sin da piccoli criticata da tutti, ma che invece è il principio della volontà e della centralità di ogni essere. La volontà, per arrivare ai “piani alti”, è bene che sia, secondo Assagioli, forte, sapiente e buona. Forte senza tentennamenti, con l’occhio e la spada rivolti in un’unica direzione, verso il nostro scopo, il nostro volere. Sapiente, ovvero trovare “l’abilità di sviluppare la strategia più efficace e che richiede il minor sforzo, piuttosto che la strategia più ovvia e più diretta” (Assagioli, L’atto di volontà, 1977, Astrolabio-Ubaldini). Buona, perché è una volontà di luce che porta beneficio a tanti, senza portare danno ad alcuno, a meno che tale danno non significhi libertà per gli altri. Armati di Volontà ci dirigiamo quindi verso la scelta, la direzione, guidati dalla nostra stella polare, il nostro Sé, il progetto di vita che l’anima ha scritto o sta scrivendo per noi, e che solo raggiungendo il timone della nostra nave psichica possiamo seguire.

L’angelo è spesso simbolo di protezione, come scritto nel Salmo 91: 10, 11: “poiché Egli comanderà ai suoi angeli di proteggerti in tutte le tue vie”; l’evocazione dell’angelo in questo contesto, può farci sentire forti e protetti, può aprire la porta d’accesso alla nostra forza e al nostro potere di autoguarigione. Evocare etimologicamente viene dal latino con il significato di “chiamare fuori”, riferendosi a qualcosa che è già in nostro possesso, ma che in molti casi deve essere risvegliato. Tutto il mondo degli archetipi e dei simboli è dentro di noi attraverso l’inconscio collettivo, che contiene le leggi del mondo e che contribuisce a far sì che ogni essere vivente, nel momento dell’incarnazione, segua un modello di manifestazione tipico della sua specie. Per evocare un archetipo è importante iniziare dalla chiamata; sapere chi vogliamo evocare e chiamarlo, casomai ad occhi chiusi e con la voce interiore, provando a sentire il risveglio dell’archetipo nella nostra mente, nel nostro corpo e nella nostra anima. Sentire quindi il nostro Io che piano piano si riveste di un vestito nuovo, che prende vita e vigore e si manifesta attraverso la nostra identificazione con esso.
C’è però un punto molto importante come regola base per un corretto contatto con il transpersonale, ovvero il punto da cui si evoca o si interloquisce con gli elementi di luce. Se io non ho radici ben salde e volo troppo in alto, scambierò per “angelo” anche le parti d’ombra, viceversa se sarò preso da paura, rabbia o rancore, vedrò anche gli “angeli” come “demoni”. Tornare al centro, attraverso esercizi di centratura e radicamento, può favorire un buon contatto con il profondo e permettere di sentire e vivere le parti di luce. Così l’angelo può diventare portatore di gioia, di leggerezza, di trasparenza, ma anche forza, sapienza, giustizia, lealtà; contattare tale archetipo porta indiscutibilmente ad elevarsi, a guardare le cose da un’altra prospettiva, quindi a disidentificarsi, a collaborare con l’inevitabile e a ricercare sempre ciò che è vitale. Nella lotta tra bene e male, tra luce e tenebre, scegliere la vita e la libertà, ti porterà sempre ad essere accompagnato da un esercito luminoso, che l’occhio attento del cuore potrà vedere elevarsi attraverso le sue ali.
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